L’arte di saper mollare la presa quando è necessario

L’arte di saper mollare la presa quando è necessario

Viviamo vite frenetiche, piene di impegni e obblighi dai quali sembra sia impossibile districarsi. Sprechiamo energie in rimpianti, frustrazioni, situazioni che ci levano il respiro, schiavi delle nostre convinzioni, preoccupazioni e abitudini nocive che come macigni pesanti ci trattengono sul fondo e ci impediscono di prendere il largo. Senso di colpa e impotenza imperano sovrani nelle nostre vite impedendoci di mettere a fuoco i nostri veri bisogni. Abbiamo la sensazione di aver perso la capacità di sentirci leggeri e trarre da ogni situazione la giusta dose di vitalità, la capacità di una visione chiara che ci permetta di far fronte alla vita con nuove risorse. Eppure, le opportunità di cambiamento e miglioramento sono ovunque, ma questi schemi, queste modalità distruttive le abbiamo “accettate” (e le perpetuiamo) come ostacoli per privarci inconsapevolmente della vera felicità.

Siamo intrappolati in una prigione dalle sbarre ingombranti e arrugginite, ignari di avere la chiave dentro la nostra tasca.

Per capire meglio questo concetto, nel folle ma geniale romanzo filosofico di Robert Pirsig “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, l’autore descrive l’esempio della “vecchia trappola indiana per le scimmie”. Si tratta di una noce di cocco svuotata del suo contenuto e legata con una catena che viene riempita con del riso che la scimmia può prendere facilmente infilando la zampa nel buco. L’apertura infatti è grande quanto basta perché entri la zampa della scimmia, ma è troppo piccola perché ne esca il suo pugno pieno di riso. La scimmia infila la zampa e si ritrova intrappolata perché non vuole mollare il riso. Ciò che la blocca non è qualcosa di fisico, ma un’idea: non capisce che un principio che fino a quel momento le è stato utile (“quando vedi il riso, stringi forte”) è diventato fatale.

Se riportiamo questa metafora alle nostre vite quotidiane possiamo renderci conto di quante cose stiamo perdendo per via di quel “pugno serrato”! Sembra sciocco e banale, ma sfortunatamente abbiamo la tendenza a complicarci la vita. Questo perché il nostro cervello segue il principio dell’economia: ciò che è stato utile per risolvere quel tipo di problema può essere una buona modalità per risolvere un problema simile. Ma quando questo modo di fare inizia ad appesantirci e diventa inefficace? Facciamo come la scimmia che resta intrappolata?

Mollare la presa e aprirsi a nuovi modi di vedere i problemi è l’unica via d’uscita.

Fantastico, detto così! Ma come si fa?

Ecco i passi da seguire per riuscirci e abbandonarsi ad un sano cambiamento senza opporre resistenza.

Ascoltare i propri bisogni

Troppo spesso mettiamo da parte i nostri bisogni in favore degli altri e dei loro bisogni. Scommetto che siete campioni olimpici nel riconoscere ciò di cui necessitano gli altri ma assolutamente un disastro nel provare a mettere a fuoco i vostri bisogni più fondamentali. Gli impegni improrogabili, la vita frenetica, i sensi di colpa, il lavoro, la famiglia, ci spingono a dire “vorrei ma non posso”. Ce lo ripetiamo come un mantra, facciamo spallucce e andiamo avanti. Dobbiamo cancellare l’errata convinzione che pensare a noi stessi significa essere egoisti. Ascoltare i nostri bisogni significa connettersi profondamente con noi stessi e nutrirci del carburante che ci fa andare avanti con slancio ed entusiasmo! Apriteli quei cassetti polverosi dove tenete i vostri sogni, fosse solo per guardare che forma hanno! Ascoltate il vostro corpo: è un’incredibile fonte di informazioni. Quand’è l’ultima volta che qualcosa vi ha emozionato? Cosa vi dà soddisfazione? Vi prendete sufficiente cura di voi?

Liberarsi o gestire i sensi di colpa

Il senso di colpa è il nemico numero uno del mollare la presa! Esso ha diverse origini, per esempio può derivare dalla convinzione di aver fatto qualcosa di male o di non aver agito quando era necessario, causando così un danno a qualcuno. La necessità di essere all’altezza degli obblighi e il non poter mettere se stessi al centro ha molto a che fare con l’idea di dover essere perfetti e dare agli altri un’idea positiva e idealizzata di noi stessi. Il senso di colpa può diventare un problema quando non è costruttivo, ossia quando non è uno stimolo a migliorarsi. In questo caso innesca una pericolosa sequenza di sentimenti dannosi, tra cui la vergogna e la rassegnazione. Eppure Il senso di colpa non è sempre è negativo, a volte può indurre un sano senso di rimorso per azioni sbagliate, oppure incrementare sentimenti di empatia e può spronarci a cambiare comportamenti poco utili.

Ridistribuire le responsabilità

Può capitare che vi sentiate bloccati o trattenuti da questioni in cui sono coinvolte altre persone o in cui la frustrazione è confermata e rinforzata dal comportamento di chi vi circonda. Ci sono due esempi importanti per capire questo concetto.

  1. Esercitare troppo controllo nelle relazioni o farvi controllare da esse. Nelle relazioni che sentite come pesanti o sature, può capitare che vi rendiate conto di starle portando avanti con la convinzione che sia un vostro preciso “dovere”, in quanto la situazione non si può cambiare oppure l’altro ha assoluto bisogno di voi. Ebbene, non è detto che per essere forti bisogna aiutare gli altri. Le relazioni che funzionano sono circolari. Imparare a chiedere aiuto o coinvolgere gli altri nella responsabilità del loro andamento è essenziale.
  2. Assumere concetti altrui come nostri. Molto spesso la frustrazione deriva dall’incapacità di raggiungere degli standard che ci hanno imposto. “Devi essere magra”, “Devi essere perfetta/o”, “Devi essere il migliore”. Quanto di noi c’è in questi assunti assoluti? Quanto rispettano le nostre attitudini? Proviamo a comprendere quanto queste frasi ce le hanno suggerite la società, un capo pretenzioso o una madre particolarmente perfezionista e ridistribuiamo la responsabilità di quanto ci fanno soffrire.

Accettare la realtà

Come si può mollare la presa in casi di situazioni molto dolorose? La vita non si risparmia mai e ci offre anche circostanze di intensa sofferenza in cui a nulla valgono volontà o coscienza, opporsi è impossibile. Sono le morti dei nostri cari, le malattie, la fine di legami importanti. Ciò che più causa sofferenza è la resistenza con cui ci contrapponiamo alla realtà annegando in un mare di impotenza e frustrazione. Accettare queste realtà, con anche il dolore che provocano, ci rende saggi e ci permette di far fronte alla vita.

Bisogna saper fare il “morto a galla”, smettere di lottare, farsi trascinare dalla corrente e godersi il viaggio. Accettare tutto ciò che viene è ciò che ci permette di allentare la presa di una corda che a forza di tirare sta ferendo la nostra mano.

 

 

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